giovedì 12 giugno 2014

Shtetlach, piccolo mondo antico

C'è un bellissimo libro di Jirí Langer che si intitola Le nove porte (nulla a che fare, o quasi, con il film di Polanski) che è un po' un saggio, un po' un'autobiografia, un po' una raccolta di racconti. Figlio di ebrei cechi assimilati, fratello del drammaturgo František, amico di Kafka, Jirí decide di dedicarsi allo studio dell'ebraismo più mistico ed estremo.
Così, nel 1923, prende un treno che lo porta 500 km più a est e 200 anni, o forse 500, indietro nel tempo. A Belz, in Galizia (non quella in Spagna, quell'altra), che descrive con le seguenti parole: «I paesi della Galizia orientale hanno tutti lo stesso carattere, da secoli. Miseria e sporcizia sono i loro più tipici segni esteriori. Laceri contadini ucraini, ebrei con le pejess(1)e i caffettani sdruciti, branchi di bestiame e di cavalli, oche e grossi maiali che pascolano indisturbati sulla piazza».
Il mondo in cui Langer è arrivato è quello degli shtetlach, i villaggi dell'Europa dell'Est abitati da ebrei (ma non solo, come testimonia la presenza dei maiali) solitamente ultraortodossi (in contrapposizione agli ebrei "assimilati" della grandi città, come Praga, da cui Langer proveniva).
Yidishkeyt (ebraicità) e Menshlikhkeyt (umanità) erano i principali valori intorno ai quali ruotava la vita della comunità. Si manifestavano nei due luoghi principali della vita quotidiana  - la sinagoga e la casa - e nei rituali della vita pubblica e privata: il sabato, il matrimonio, la mikwe (che esamineremo meglio nei prossimi post).

A interrompere la storia di questi insediamenti furono, come è facile immaginare, i nazisti. Una conclusione che lo scrittore Edgar Hilsenrath racconta così nel suo Jossel Wassermann torna a casa:

E il vento, lì fuori, sussurrò qualcosa all’orecchio del rabbino.
E il rabbino annuì e disse: «Sì, hai perfettamente ragione. I goyim sono degli stolti. Ora stanno saccheggiando le nostre case e scavando nei nostri giardini. E credono che abbiamo abbandonato tutti i nostri averi. E se la ridono sotto i baffi. Non sanno che il meglio lo abbiamo portato con noi».
«Che cos’è il meglio?» chiese il vento.
E il rabbino disse: «La nostra storia. Quella l’abbiamo portata con noi».
E il vento disse: «Ma rabbi, non può essere vero. La storia degli ebrei dello shtetl è rimasta laggiù».
«No» disse il rabbino. «Ti sbagli. Laggiù sono rimaste solo le tracce della nostra storia».
Ed era vero. Le tracce erano rimaste laggiù ma il tempo le avrebbe cancellate a poco a poco, e non sarebbe rimasto più nulla.
E così il rabbino disse alla voce sommessa del vento: «Laggiù abbiamo lasciato soltanto l’oblio, e abbiamo portato con noi la memoria».

Da cliccare:


Da leggere:


  • Edgar Hilsenrath, Jossel Wassermann torna a casa, Baldini Castoldi Dalai 2011
  • Jirí Langer, Le nove porte. I segreti del chassidismo, Adeplphi 2008
  • Yohanan Petrovsky-Shtern, The Golden Age Shtetl: A New History of Jewish Life in East Europe, Princeton University Press 2014
  • Eva Hoffman, Shtetl. Viaggio nel mondo degli ebrei polacchi, Einaudi 2011
Note
1. I riccioli laterali, che gli ebrei maschi lasciano crescere in ossequio Levitico 19-27: "Non taglierete in circolo l’estremità (dei capelli) del vostro capo, e non distruggerai l’estremità della tua barba".

mercoledì 16 aprile 2014

Pesach o del passaggio / 2

«Il primo mese, il 14° giorno del mese sarà la Pasqua in onore dell’Eterno. E il 15° giorno di quel mese sarà giorno di festa. Per sette giorni si mangerà pane senza lievito» (Bemidbàr XX, 8)
Pessach di Emanuele Luzzati

L'arrivo di Pesach viene festeggiato con una cena, il seder (in ebraico ordine).
Pesach è celebrato in ricordo della fuga dall'Egitto ed è la festa della libertà dalla schiavitù.

Durante la cena bisogna mangiare i seguenti cibi:
Tre Matzòt sovrapposte. Il pane azzimo, in memoria del pane senza lievito impastato prima della fuga dall'Egitto.
Maròr, le erbe amare, in genere foglie di insalata da intingere nel Charosset. In ricordo dell'amara schiavitù.
Zeroa’, una zampa. Si usa una zampa di bovino, ovino o pollame arrostita direttamente sul fuoco. Rappresenta l’offerta dell’agnello al Tempio di Gerusalemme.
Betzah, un uovo sodo. È simbolo del lutto per la distruzione del Tempio. E’ preferibile che l’uovo sodo sia lasciato nel guscio.
Karpàs, verdura. Di norma si usano gambi di sedano crudi da intingere in aceto o acqua salata.
Charosset, impasto di frutta in ricordo della malta adoperata dagli schiavi
ebrei in Egitto per confezionare i mattoni. Viene preparata con i frutti citati nello Shir ha-Shirim (Cantico dei Cantici) che viene recitato durante Pesach: datteri, noci, mandorle, mele, melograni, fichi. L'impasto secondo alcune tradizioni sarebbe in realtà simbolo del sangue versato dagli ebrei durante la schiavitù.
Durante la cena è obbligatorio consumare quattro bicchieri di vino, in ricordo della promessa divina: «Io provvederò a liberare, a redimere, a dare la liberazione, a salvare il popolo ebraico».

Da secoli gli ebrei in Diaspora concludono con il brindisi «Le Shana' abaa' be Yerushalaim», con l'augurio di poter festeggiare Pesach in Eretz Israel.

Chag sameach (felice festa) a tutti voi.

Link utili:

lunedì 7 aprile 2014

Pesach o del passaggio / 1

(Dice che fai, riprendi in mano un blog dopo tre anni? Uh, e perché no, c'è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Sì, è Kohelet)

Arriva la primavera, le temperature si alzano, e mentre voi sarete impegnati ad approfittare dell'unica brevissima finestra temporale in cui si possono indossare trench e foulard di seta, gli ebrei si occuperanno di pulire casa.
E per pulire intendo rimuovere ogni minuscolo granello da qualunque superficie della casa, visibile o invisibile, come se da questo dipendesse la loro vita. Questo perché Pesach si  avvicina e la casa dovrà essere priva di chametz.

Cosa sia Pesach è noto anche a chi di ebraismo sappia poco o nulla:  è una festività ebraica che dura sette giorni (otto in diaspora) e che ricorda l'esodo e la liberazione del popolo israelita dall'Egitto.
Una fuga talmente precipitosa che non vi fu il tempo di far lievitare il pane e le donne dovettero improvvisare delle focaccine di acqua e farina: le matzot (al singolare matzah מַצָּה‎).
Così, in memoria di quell'evento, è compito di ogni bravo ebreo astenersi dal ogni sostanza lievitata (chametz) per l'intero periodo di Pesach. Non solo, è necessario rimuovere dalla casa ogni più piccola briciola di chametz. Da qui l'origine delle "pulizie di primavera".
Rav Di Segni, rabbino capo di Roma, ha scritto sul tema un interessante articolo, utilissimo anche per illustrare - a chi non ne avesse contezza - il concetto di «fare la punta al cazzo», specialità in cui, senza falsa modestia, siamo campioni imbattuti da quattromila anni.



Se decidete di festeggiare Pesach e di organizzare un bel seder, non dimenticate di tenere sul tavolo un bicchiere di vino per il profeta Elia. Il bicchiere più bello che avete, se proprio siete così taccagni da non voler comprare al profeta Elia un bicchiere d'argento tutto per lui.
E siate ospitali con tutti, non si sa mai chi potrebbe bussare alla vostra porta.
Si narra infatti che a una donna poverissima, talmente povera che i suoi preparativi per Pesach si limitavano alle pulizie, ricevette la visita di un viandante che chiese di essere ospitato per il seder. La donna accoglie il viandante e gli assicura che non gli mancherà nulla. «Così sia», dice l'ospite, e così fu: la casa si riempì di cibo, denaro e argenti.
La vicina di casa, ricca e taccagna, viene a sapere del prodigio ed è rosa dall'invidia.
Quando un viandante bussa alla sua porta, pensa bene di piangere miseria, certa di suscitare pietà e compassione. Sono stanca, sono povera, non ho nulla, eccetera. «Così sia», dice il viandante, e così fu: la casa si svuotò di cibo e ricchezze. Non vi venga mai in mente di provare a ingannare il profeta Elia. E accogliete sempre i viandanti, anche se non tutti saranno in grado di ricompensare la vostra generosità.

Del seder parlerò meglio nel prossimo post.